Un incontro-dibattito con la Professoressa Marina Morbiducci
Scriveva Fortini nel 1983: “[C]redo che una teoria della traduzione – cioè una parte delle scritture letterarie – non solo sia possibile e necessaria, ma debba proporsi di portare a livello di sapere comune e di senso comune” ciò che viene percepito come genere specialistico. “Ogni pratica del tradurre presuppone scene di cultura fatte in età passate e che noi riceviamo come naturali, ossia di pertinenza dell’istinto linguistico e poetico. Ma l’istinto è nulla senza il consenso sociale”. La traduzione, continua Fortini, è una modalità di “ricostituzione della ‘forma interna’ per una nuova pronuncia, è un modo storico tutt’altro che assoluto [che] può cambiare la collocazione del tradurre nell’ordine delle scritture letterarie, rivelarsi più visibile la continuità con il volgarizzamento, la parodia, il rifacimento di iniziazione, il pastiche e così via”. Tradurre, per Fortini, “[v]uol dire confrontarsi, rischiare la propria identità. Scriviamo poesie se lo sappiamo fare, scriviamo parafrasi, imitazioni, trasposizioni, parodie, rifacimenti. Ma per le traduzioni se vogliono comunicare, se vogliono informare sulle differenze, per favore dimentichiamo il genio, l’istinto e l’ineffabile”.
La riflessione sul genere traduttivo – che ha accompagnato e influenzato l’autore lungo tutto il percorso della sua carriera – sarà oggetto dell’incontro-dibattito che si terrà presso l’Università di Malta il 25 marzo 2015, ore 17-19, aula OH 113. La prof.ssa Marina Morbiducci dell’Università Sapienza di Roma tratterà dei principali assunti traduttologici fortiniani, in cui il mestiere del poeta e l’officina del traduttore entrano in relazione strettissima” (Luca Lenzini, 2011), rifacendosi in particolare al testo delle sue ultime lezioni tenutesi a Napoli nel 1989 (Macerata: Quodlibet, 2011).